Page 32 - Il Processo
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INTERVENTO DEL “TESTIMONE”
PER PER LA DIFESA
IL “MINISTRO DELLA REAL CASA DELL’EPOCA”, IMPERSONATO DA MATIAS MANCO
Domanda della corte: Come si caratterizzava, nel 1938, l’assetto costituzionale dei poteri del Re, nel contesto del regime fascista?
Risposta: nel ’38 la “fascistizzazione” dello Stato era già giunta ad una fase avanzata e rima- neva ben poco dell’edi cio liberale costruito a partire dall’Unità d’Italia.Formalmente era ancora in vigore lo Statuto Albertino che assegnava al Sovrano ampie prerogative, renden- dolo ad es. partecipe della stessa funzione legislativa mediante l’attività di c.d. “sanzione” e successiva promulgazione delle leggi (che avrebbero dovuto essere espressione della volontà parlamentare e quindi popolare).
Ma in realtà, a seguito delle c.d. leggi “fascistissime” emanate a partire dal 1925, il Re aveva perso ogni margine di manovra. Da un lato il Parlamento non aveva più alcuna auto- nomia, essendo stato ridotto a longa manus del regime;
Dall’altro lato, il Re dovette subire l’affronto della legge n. 2693 del 1928 la quale attribu- iva al Gran Consiglio del fascismo: - la funzione di decidere in merito alle “prerogative ed attribuzioni” della Corona; - persino il potere di esprimersi sulla successione dinastica (che in base allo Statuto avrebbe dovuto trovare disciplina esclusivamente nella legge salica). Di fatto si trattava di una pesante interferenza negli aspetti più “tipici” dell’istituzione mo- narchica.
Non va dimenticato che il ’38 era stato il “picco” delle fortune del regime e del consenso popolare. La “diarchia” tra Re e Capo del Governo era solo apparente, perché ogni effet- tivo potere era concentrato nelle mani del secondo.
Domanda della corte: quale ruolo ebbe Vittorio Emanuele III rispetto all’emanazione delle leggi razziali del ’38? Poteva il Re impedire l’entrata in vigore di tali leggi?
Risposta: Spesso si dimentica che le leggi razziali furono adottate mediante decreti gover- nativi d’urgenza. Ossia avvalendosi di una procedura introdotta proprio da una delle leggi fascistissime (la legge n. 100/1926).Tale procedura non prevedeva alcuna forma di sindaca- to da parte del Re, che era obbligato ad apporre la propria contro rma (l’art. 3 della legge n. 100/26 prevedeva che “il giudizio sulla necessità ed urgenza” – del provvedimento, n.d.r. – “non è soggetto ad altri controlli che a quello politico del Parlamento”).
Come emerge paci camente anche dai Diari di Galeazzo Ciano, Vittorio Emanuele III, epi- gono di una dinastia che aveva emancipato gli ebrei, era fortemente contrario alla legisla- zione razziale, in palese contrasto con gli accesi propositi antiebraici di Mussolini (non si sa se dettati da personali convinzioni, oppure al desiderio di compiacere/emulare l’alleato tedesco, oppure dal timore dello stesso). Tanto che ne sabotò l’applicazione nell’ambito della Corte e durante il governo Badoglio si adoprò poi per la loro abrogazione (sin dal settembre ’43, furono predisposti gli schemi abrogativi).
Il Re era altresì perfettamente conscio che un eventuale suo ri uto di contro rmare le leg- gi avrebbe aperto una frattura istituzionale che Mussolini avrebbe direttamente “sanato”
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