Page 44 - Il Processo
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SENTENZA DELLA “CORTE”
IMPERSONATA DA PAOLA SEVERINO (PRESIDENTE), GIUSEPPE AYALA, ROSARIO SPINA
La decisione è stata raggiunta all’unanimità dai componenti il collegio.
L’articolata istruttoria, condotta con puntualità e rigore dalle parti coinvolte, ha anzitutto approfondito il contenuto delle Leggi antiebraiche italiane e l’iter che ha condotto alla loro approvazione.
Gli elementi raccolti consentono di affermare che si trattò di decisioni liberticide assunte, su proposta del Governo fascista e promulgazione del Re, a far data dal mese di settem- bre del 1938. Dette leggi af issero, come ricordato nel corso dell’istruttoria, i più svariati aspetti della vita di cittadini italiani e di stranieri sul territorio italiano, discriminati per il solo fatto di essere (o essere considerati) ebrei, sulla base della de nizione che lo stesso regime fascista elaborò richiamando presunti, quanto infondati, dogmi scienti ci (Manifesto della Razza, luglio 1938).
Più in particolare, tra le leggi più af ittive, si ricordano quelle che riguardarono la scuola, le professioni, la vita sociale, la vita familiare, la libertà di stabilimento o movimento, il pa- trimonio.
Si trattò, è vero, di decisioni che seguirono tutte l’iter previsto dalle norme all’epoca vigenti per l’approvazione e l’ef cacia dei provvedimenti legislativi.
Purtuttavia, le leggi antiebraiche italiane, nella sostanza, altro non erano che una prevari- cazione legalizzata di quei diritti che sono “propri di ogni essere umano in quanto tale e, perciò, patrimonio indisponibile per il potere costituito” (Garlati), con cui tuttavia le leggi rompevano in modo manifesto.
Una frattura tanto violenta quanto inattesa, ed invero neppure prevedibile, alla luce di quello che appariva un saldissimo vincolo tra la Monarchia e i suoi sudditi, introdotto dal Re Carlo Alberto con il Proclama dell’08.02.1848, sancito nello Statuto albertino, da cui emerge chiaro il legame tra i popoli e il Re, che li governa “da diciassette anni con amore di padre” e a cui consente di “far uso delle maggiori libertà acquistate, di cui sono e saranno degni”, aspettandosi “da Loro la rigorosa osservanza delle Leggi vigenti”.
Un reciproco patto dunque tra il Re e i suoi sudditi, solennemente riaffermato come “vinco- lo d’indissolubile affetto” con l’entrata in vigore dello Statuto albertino nel marzo del 1848.
Tali premesse trovarono concretizzazione nei successivi provvedimenti di emanazione re- gia, che riconobbero in favore degli “Israeliti regnicoli”: il godimento di tutti i diritti civili, il diritto di far parte della Leva militare, la piena capacità civile e politica, con pari dignità di culto rispetto alla Religione cattolica, il riconoscimento di titoli di studio conseguiti all’e- stero.
Orbene, le leggi antiebraiche italiane, spazzando via l’eguaglianza di diritti e dignità di tutti i cittadini ed alterando l’equilibro del rapporto tra governanti e governati, si posero all’evi- denza in stridente contrasto con il contenuto politico dei principi sopra richiamati, fulcro e spirito dell’ordinamento statutario dell’epoca.
Una tale infamia giuridica si fece scudo dello strumento legislativo, che tuttavia, lungi dal
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