Page 7 - Il Processo
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mente trasformato in Direzione Generale per la demogra a e razza, il famigerato “Demo- razza” censì gli ebrei italiani: 58.412 gli individui con genitore ebreo o ex-ebreo. Di questi, 46.656 si dichiararono ebrei.
-Gli ebrei erano tenuti ad autodenunciarsi e ad appore la scritta “di razza ebraica” su tutti i certi cati, pena l’arresto o una ammenda  no a tremila lire. Una cifra esorbitante, se si pen- sa che in quel periodo era in voga la canzonetta: Se potessi avere mille lire al mese.
-Gli ebrei non potevano prestare servizio militare, essere proprietari gestori o amministrato- ri di aziende con più di cento dipendenti, né proprietari di fabbricati urbani con imponibile superiore a ventimila lire, o di terreni con estimo superiore a cinquemila lire. Il che signi cò svendita o sequestro.
-Non potevano essere impiegati in aziende pubbliche, banche, assicurazioni, partecipate. Centinaia di dipendenti pubblici e privati, militari professionisti persero i loro posti di lavoro e vennero ricacciati nel nulla, senza possibilità non solo di proseguire la loro carriera, ma spesso anche di sopravvivere dignitosamente. Gli ambulanti ebrei che persistevano a ven- dere vennero multati o internati. Gli alti funzionari dello Stato ebrei furono dimessi. Dalla Fiat furono cacciati prima i dirigenti e poi gli operai.
-Agli ebrei fu preclusa ogni espressione artistica. I loro libri non potevano essere pubblicati o adottati come libri di testo nelle scuole (anche quelli frutto della collaborazione di più autori, di cui uno ebreo). Non potevano suonare nelle orchestre e le opere di compositori ebrei non potevano essere eseguite.
-Agli ebrei era proibito contrarre matrimoni con non ebrei; frequentare le spiagge; avere il nome sull’elenco del telefono; possedere la radio; pubblicare annunci mortuari; far parte del Club Alpino. E persino possedere piccioni viaggiatori.
-L’obiettivo era di espellere tutti gli ebrei dalla penisola. Un obiettivo che non si realizzò a causa dell’ingresso in guerra dell’Italia nel giugno 1940.
Eppure gli ebrei erano più italiani di molti italiani, e certamente più dei Savoia, che regna- vano su una regione francese e originalmente provenivano dalla Sassonia, e più della no- biltà napoletana e siciliana, entrambe di origine Spagnola.
La presenza ebraica in Italia è antichissima. Le prime comunità giunsero già ai tempi della Roma Repubblicana e si radicarono con la grande deportazione che seguì la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.c., e poi con la cacciata dalla Spagna tra il 1300 e il 1500. Diffusi in tutta la Penisola, gli ebrei avevano conosciuto momenti di prosperità –soprattut- to all’epoca dei Comuni e delle Signorie – e momenti di persecuzione a causa dell’anti- giudaismo della Chiesa Cattolica. Un antigiudaismo di matrice religiosa (gli ebrei erano il “popolo deicida”) che creò un terreno fertile per i pregiudizi antisemiti di matrice biologica propugnati da fascismo e nazismo. A partire dal 1555, a seguito di una bolla di Papa Paolo IV gli ebrei erano stati obbligati a risiedere nei ghetti, dai quali li liberò Napoleone,  nché lo Statuto Albertino del 1848 non garantì loro la cittadinanza italiana e i pieni diritti che ne conseguivano.
Un paradosso della Storia: fu un Savoia a liberare gli ebrei, e un altro Savoia a rigettarli nella discriminazione.
Gli ebrei italiani vissero con orgoglio la loro cittadinanza. Avevano partecipato al Risorgi- mento, combattuto e meritato onori cenze durante la prima guerra mondiale. 24 generali pluridecorati furono cacciati con le leggi razziali: tra loro Riccardo Padovani, generale dei bersaglieri, che pur aveva frequentato la Nunziatella con il Re.
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