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GIORNO DELLA MEMORIA

Roma Palazzo Montecitorio, 27/01/2015

Intervento del Presidente UCEI Renzo Gattegna

Il 27 gennaio di ogni anno, da quando nel 2000 il Parlamento italiano ha istituito per legge il Giorno della Memoria, ricordiamo la liberazione e l’abbattimento dei cancelli del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau; quest'anno ricorre il settantesimo anniversario di quello storico evento.

Conserva un particolare significato il fatto che questa cerimonia, come negli anni precedenti al Quirinale, si svolga in un luogo di alto valore simbolico e istituzionale per il nostro Paese.

Voglio rivolgere all’illustre e caro Presidente Giorgio Napolitano, il più alto apprezzamento degli ebrei italiani per come, ogni anno, ha voluto conferire a questo Giorno della Memoria un altissimo significato. Ringrazio i Presidenti Pietro Grasso e Laura Boldrini per aver confermato e proseguito questa iniziativa di elevato valore formativo.

La Memoria è un tema che si intreccia strettamente con la storia millenaria, la cultura e l’esperienza ebraica.
Un’esperienza che gli avvenimenti di ogni giorno confermano viva e attuale. I gravissimi, recenti fatti di Tolosa, Bruxelles e Parigi, hanno dimostrato una volta ancora quali siano i capisaldi di una democrazia. I terroristi hanno colpito con precisa determinazione obiettivi che rappresentano il cuore della società civile: la redazione di un giornale, quindi la libertà di opinione; le Forze dell’ordine, quindi lo stato di diritto; e gli ebrei, una minoranza simbolo di pluralismo e diversità.

Portiamo ancora i segni di un passato in cui gli ebrei sono stati spesso identificati con la diversità; una diversità che è stata volutamente alterata, manipolata e strumentalmente usata per costruire false teorie a sfondo razzista e generare odio, pregiudizio e violenza fino al tentativo di genocidio.

L'Aula nella quale ci troviamo è stata teatro, nel 1938, dell'emanazione delle leggi razziste da parte del regime fascista.

Non posso dimenticare né tacere il fatto che quelle infami leggi furono approvate con un voto unanime: una unanimità indicativa del degrado e della degenerazione che la dittatura fascista aveva prodotto all'interno del Parlamento che, poco dopo, assunse il nome di Camera dei fasci e delle corporazioni.

Questa fu la solitudine nella quale i cittadini ebrei furono abbandonati; questa fu l'indifferenza che segnò il loro destino, questo fu il tradimento perpetrato dallo Stato.

Tradimento è una parola forte. Ma come definire diversamente ciò che avvenne nei confronti di coloro che erano parte integrante dell'Italia da oltre duemila anni, nel corso dei quali avevano contribuito allo sviluppo civile, culturale, etico e religioso del paese oltre ad aver dato anche un contributo fondamentale alla formazione dello Stato unitario attraverso le lotte risorgimentali e la partecipazione alla Prima Guerra Mondiale?

Basti ricordare che tra il 1900 e il 1910 l'Italia ebbe ben tre Primi ministri di origine ebraica nelle persone di Alessandro Fortis, Sidney Sonnino e Luigi Luzzatti.

In questa stessa Aula, tra il 1946 e il 1948, si svolsero i lavori
dell'Assemblea Costituente che, con l'approvazione della Costituzione repubblicana, permise all'Italia di ritrovare la libertà, l'uguaglianza, il rispetto dei diritti fondamentali e quindi il posto che merita tra le grandi democrazie del mondo.

Il 27 gennaio del 2010 fu invitato, in questa sede a pronunciare un indimenticabile discorso il professor Eliezer Wiesel, Premio Nobel per la Pace, del quale trovo importante ricordare alcune frasi tratte da uno dei suoi libri: “L'opposto di amore non è odio, è indifferenza. L'opposto di arte non è brutto, è indifferenza. L'opposto di fede non è eresia, è indifferenza. L'opposto di vita non è morte, è indifferenza”.

Sono parole tremendamente attuali perché in questo periodo, più che in passato, sentiamo quanto sia pericolosa l'indifferenza di fronte a fenomeni xenofobi, razzisti e antisemiti.

Le peggiori minacce possono facilmente concretizzarsi se si perde la coscienza che il cinismo e l'ignoranza, e quindi l'indifferenza, possono aprire la strada a nuovi orrori e a nuove atrocità.

Da questo nasce il nostro dovere di ricordare che milioni di esseri umani innocenti e indifesi sono rimasti vittime dell'inaudita crudeltà e dell'aberrante logica che ha portato i regimi fascista e nazista a praticare il più grave dei crimini contro l'umanità: il genocidio.

“Chi nega Auschwitz è pronto a rifarlo”. Sono parole di Primo Levi che, con Elie Wiesel, ha condiviso la deportazione nei campi di sterminio.

A queste parole si ispira l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nel sostenere l’ultima versione del progetto di legge contro il negazionismo; una legge che non vuol essere in alcun modo limitativa della libertà di ricerca, ma solo impedire che venga sottovalutato l'effetto perverso e diseducativo di falsità storiche usate come mezzo di propaganda politica, come strumento per offendere le vittime della Shoah e, al tempo stesso, per diffamare i discendenti che ne difendono il ricordo.

La nostra esperienza di ebrei presenti in Italia da oltre 20 secoli ci rende consapevoli del fatto che superare le diffidenze causate dalle differenze culturali e religiose non è facile, ma è possibile; ci rende consapevoli che è possibile per tutti vivere integrati nella società sviluppando la propria cultura e senza perdere le proprie tradizioni, proprio perché il contributo di diverse componenti arricchisce la società stessa di valori positivi.

Gli ebrei non sono stati nel passato e non vogliono essere nel presente e nel futuro il popolo della Shoah; vogliono essere portatori di valori positivi come la pluralità. Pluralità che può e deve essere una ricchezza. Una società che conosce, capisce e rispetta le differenze è sicuramente più disponibile al dialogo, più aperta, più accogliente e quindi più giusta per tutti.